Campionati Europei Paralimpici di Helsingborg 2025 Nazionale azzurra in SveziaI numeri quando sono mirati hanno il pregio della sintesi e sono più esaurienti di mille parole. «Avevamo sette atleti iscritti in cinque gare e abbiamo disputato quattro finali. Le nostre quattro coppie di doppio hanno partecipato e tre competizioni e hanno conquistato tre medaglie. Sei atleti su sette sono saliti sul podio e anche Andrea Borgato, che tornava agli Europei, dopo aver dovuto saltare un’edizione per problemi di salute, ha venduto cara la pelle», A parlare è il direttore tecnico Alessandro Arcigli, che commenta i due ori, quattro argenti e due bronzi ottenuti dagli azzurri agli Europei Paralimpici di Helsingborg.
Alessandro, questi numeri confermano una tendenza?
«Subito dopo il Covid, dai Mondiali di Granada 2022 i risultati sono stati ogni volta sensazionali. Mi ricordo che nel novembre 2019, a ridosso della sospensione per la pandemia, siamo tornati dagli Europei, che si erano svolti come questa volta a Helsingborg, con un oro, un argento e un bronzo ed eravamo contentissimi. Ora abbiamo portato a casa due ori, quattro argenti e due bronzi e pensiamo a ciò che avrebbe potuto essere».
Entriamo nel dettaglio?
«Giada Rossi avrebbe potuto vincere, come Federico Falco, e Federico Crosara e Rossi avrebbero potuto imporsi nel misto. Intendo dire che cinque ori sarebbero stati alla nostra portata Pensare che, nonostante le otto medaglie, i metalli avrebbero potuto essere migliori, ci dà la portata di ciò che siamo. Non siamo arrivati al massimo possibile e questa considerazione aumenta la nostra fame».
Peccato per Giada, che era in vantaggio per 10-9 nel quarto set e ha, dunque, avuto un match-point?
«Certamente, però è altrettanto vero che Matteo Parenzan era sul 9-9 al quinto set dei quarti di finale contro il britannico Paul Karadarbak e poi si è aggiudicato nettamente la finale. Matteo ha così ottenuto il quarto oro consecutivo nei massimi appuntamenti. Ormai c’è un livellamento pazzesco, perché tutte le nazioni lavorano con una qualità inimmaginabile. Il tennistavolo paralimpico è stato sdoganato in tutte le parti del mondo e dunque anche in Europa. Tutti ci tengono, tutti investono e lavorano bene e noi siamo in mezzo agli altri. Siamo competitivi ai massimi livelli, ma siamo in ottima compagnia».
Come giudichi l’Europeo di Michela Brunelli?
«È stato straordinario. Subito dopo Parigi ha deciso a 50 anni di cambiare materiale e modo di giocare. Ha gareggiato solo a Lignano e a Lasko e si è presentata in Svezia preparatissima, perdendo soltanto contro Muzinic e battendo le altre, ovvero una “bestia nera” come la slovacca Kanova, contro la quale i precedenti erano di una vittoria e dieci sconfitte e due atlete in gran forma come la croata Dretar Karic e la turca Altintas».
Sopra le righe anche l’argento di Federico Falco.
«Federico quest’anno non aveva quasi mai passato il girone e alla rassegna continentale ha sconfitto coloro che negli ultimi 20 anni avevano vinto la manifestazione, il britannico Robert Davies e l’ungherese Endre Major. Ha ceduto a Davies in finale, ma avendo grandissime chance».
E che dire di Carlotta Ragazzini, pure lei alla prima grande finale?
«Alla fine ha ottenuto 34 punti contro i 38 di Muzinic e nel secondo set stava vincendo 9-4 e ha perso 11-9. A fare la differenza sono stati due scambi, ha giocato quasi alla pari con la campionessa paralimpica in carica, che al momento è mentalmente e fisicamente un gradino sopra di lei».
A Federico Crosara è costata carissima la prima sconfitta per 3-0 nel girone.
«Non ha superato il girone per differenza set e gli sarebbe bastato aggiudicarsi un parziale in quella partita per andare avanti. Un po’ forse si sarebbe tranquillizzato e il suo prosieguo avrebbe potuto essere diverso. Non dimentichiamoci che è arrivato a un passo dalla medaglia paralimpica. Sul fronte del misto, lo aveva preparato con Giada per vincerlo e sono arrivati secondi. È rientrato a casa con l’ennesima medaglia della sua carriera, che è stata strameritata».
Torniamo ai numeri?
«Ne do pochi, ma significativi. Negli ultimi quatto anni si sono classificati e, dunque, sono diventati atleti paralimpici più di 500 persone con disabilità. Dieci anni fa avevamo 300 atleti nel database, ora siamo a quasi 3.000. Si gioca a tennistavolo, in carrozzina e in piedi, in ogni parte del mondo. Abbiamo un oro in meno rispetto agli Europei di due anni fa, ma abbiamo anche tre argenti in più. L’anno dopo le Paralimpiadi, Giada ha sentito maggiormente il peso della responsabilità. Molti campioni paralimpici di Parigi non sono saliti neppure sul podio a Helsingborg. Tornando a Giada se un Europeo in cui non ha ottenuto il massimo si è concluso con un oro e due argenti, ben vengano Europei del genere».
Questi Europei, hanno anche dato riscontri confortanti dal punto di vista dei tecnici?
«Esattamente. Negli ultimi tre anni avevamo avuto nello staff la coreana Hwang Eunbit, che è stato indubbiamente un valore aggiunto per il nostro tennistavolo. Da subito dopo Parigi l’abbiamo sostituita con Marco Bressan, che non ha certamente l’esperienza di Hwang, e possiamo dire di avere superato di slancio questa perdita, ottenendo risultati ugualmente soddisfacenti. Non siamo più legati alle persone, ma è proprio il movimento che ha fatto quel passo in avanti che un direttore tecnico auspica. Per la quarta grande manifestazione consecutiva abbiamo centrato risultati esaltanti».
Ovviamente siete pronti a ripartire con ancora maggior entusiasmo?
«Fra qualche giorno inizieremo a preparare i Mondiali di novembre 2026 a Pattaya, in Thailandia. Andremo là già a luglio per un torneo Elite. Quella rassegna iridata è l’obiettivo cui guardavamo da dopo Parigi: Questi Europei erano considerati un momento di passaggio ed effettuare delle verifiche attraverso i successi è senz’altro meglio, però ciò che volevo soprattutto vedere a Helsingborg erano i risultati di tutta una serie di modifiche sotto il profilo tecnico e tattico e anche dei materiali, che hanno riguardato quasi tutti i nostri atleti. Sappiamo benissimo che il tennistavolo paralimpico ha in Asia i padroni della disciplina ed è con loro che dovremo fare i conti fra un anno e soprattutto  Los Angeles 2028, se vorremo confermare, o anche solo avvicinare, i magnifici allori di Parigi. Mentre a Tokyo la Cina aveva vinto 17 gare individuali, a Parigi si è dovuta accontentare di 4 e a Los Angeles me l’aspetto agguerritissima».