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Nazionale paralimpica ai Mondiali di Granada 2022Era partito dal Centro Tenico di Lignano Sabbiadoro con la Nazionale azzurra piuttosto fiducioso e tranquillo il direttore tecnico paralimpico Alessandro Arcigli, ma non si sarebbe mai aspettatto le cinque medaglie, composte da tre d'oro, una d'argento e una di bronzo, conquistate ai Campionati Mondiali di Granada.

«Così - commenta - è stato veramente pazzesco. Nella rassegna iridata l'Italia si era piazzata 19ª nel medagliere nel 2002, 21ª nel 2006, 16ª  nel 2010, 22ª nel 2014 e 23ª nel 2018. Quando ho visto che questa volta ci siamo classificati sesti (alle spalle di Corea, Francia, Polonia, Gran Bretagna e Germania, ndr) non credevo ai miei occhi. Questo piazzamento assume una portata storica. Consideriamo poi che sei dei sette atleti sui quali lavoriamo quotidianamente sono arrivati ai quarti di finale, e dunque a un passo dalla medaglia in singolare, e l'unico che non c'è riuscito, Federico Crosara in classe 2, vinceva per 2 set a zero e 10-5 nel terzo. Questo ci fa capire che la squadra, per quanto ridotta nei numeri, si è confermata super competitiva».

Alessandro, si tratta del successo di un modello?

«Subito dopo le Paralimpiadi di Rio 2016 abbiamo fatto scelte sempre più professionali creando il Centro Tecnico a Lignano, che è l'unica esperienza in Italia sul fronte paralimpico di atleti diversamente abili che vivono a tempo pieno con lo sport e per lo sport. È stata una decisione coraggiosa, i ragazzi ci hanno seguito e le famiglie si fidano ciecamente. Abbiamo gradualmente professionalizzato anche la struttura del Centro, e, oltre a me, oggi ci sono due tecnici di assoluto livello mondiale, come la coreana Hwang Eunbit e Massimo Pischiutti, il preparatore atletico Alessandro Sellan, le fisioterapiste Elisa Quaglia e Anna Simonatto  e gli infermieri Mauro Bianchin ed Eva Pittin, per mettere i ragazzi nelle migliori condizioni possibili per esprimere le loro potenzialità».

Come è nata la collaborazione con Eunbit?

«A Tokyo eravamo stati bravi, piazzandoci terzi a squadre con Michela Brunelli e Giada Rossi, ma c'era qualcuno da cui potevamo imparare, ovvero i cinesi e i coreani. Sui cinesi, soprattutto a livelo paralimpico, è imposssibile contare, essendo un ambiente chiuso e autoreferenziale. I coreani potevano essere gli unici, quindi, adatti a migliorare le nostre prestazioni e abbiamo deciso di contattare l'allenatrice della loro Nazionale femminile, che alle ultime Paralimpiadi aveva vinto ben sei medaglie. È stata una scelta con qualche complicazione da gestire, ma vincente, perché ci ha dato quel surplus non tanto dal punto di vista tecnico, ma da quello culturale. Il tennistavolo in Corea più che uno sport è quasi una religione»

Entrando nel merito degli atleti, quello di Giada Rossi è stato un Mondiale capolavoro?

«Con all'attivo due ori e un argento, è stata la pongista più titolata dell'intera manifestazione, dopo il coreano di classe 11 Kim Gi Tae, che ha vinto singolare, doppio e misto. Nel singolare ha incontrato due atete molto ostiche, per le quali aveva deciso di stravolgere il suo gioco, subito dopo l'Open di Lasko del maggio scorso. In quell'occasione aveva battuto la brasiliana Catia Christina Da Silva Oliveira, ma era stata superata facilmente dalla coreana Seo Su Yeon».

Quali sono state le novità apportate?

«Abbiamo deciso di modificare l'assetto della carrozzina e la gomma del rovescio e di cambiare radicalmente l'allenamento, per non prevedere più l'utilizzo tattico e sistematico delle palle alte. La notte successiva alla sconfitta di Lasko contro la coreana, avevamo concordato ciò che sarebbe dovuto accadere nella sfida successiva, per fissarlo a caldo, e dal giorno dopo gli allenamenti hanno rispecchiato i nuovi orientamenti. Giada avrebbe dovuto puntare  a un maggiore continuità, cercando non di fare il punto, ma di non perderlo. L'obiettivo dove essere di piazzare la pallina in campo per allungare ogni singolo scambio, per far prendere alla coreana l'iniziativa e la responsabilità di fare il punto e poi contrastare questa sua decisione. La tattica si è dimostrata vincente, Giada ci ha creduto e l'ha fatta propria. Il  terzo punto della finale, in cui ognuna delle due atlete ha tirato 28 colpi e Giada ha giocato in sicurezza, ha destabilizzato le certezze di Seo, che è sempre stata forte mentalmente, e invece ha iniziato a rischiare, a sbagliare servizi e si è chiamata il timeout in un momento illogico. Ha perso la partita, sbagliando il servizio nell'ultimo punto».

Per quanto riguarda la brasiliana?

«Era la "bestia nera" di Giada, perché l'aveva battuta ai Mondiali e alle Paralimpiadi. Già un paio di anni fa avevamo deciso di giocare in un certo modo e di modificare la gomma utilizzata sul diritto, introducendo una puntinata, che è molto più fastidiosa per le avversarie. Già a Lasko aveva dato i suoi frutti e a Granada li ha confermati».

Venendo all'oro nel doppio e all'argento nel misto?

«Entrambe le specialità sono state preparate all'inverosimile. Ogni fine settimana Federico Crosara, che lavora in banca fino al venerdì alle ore 14, è venuto a Lignano per svolgere cinque sessioni di misto, il venerdì pomeriggio e il sabato e la domenica. Michela Brunelli frequenta invece il Centro con molta maggiore costanza e dunque la possibilità di allenare il doppio è stata quasi quotidiana. Michela e Federico, senza tralasciare nulla per quanto riguardava i rispettivi singolari, hanno messo tutti loro stessi al servizio del progetto del doppio e del misto ed entrambi sono stati decisivi. Giada si è prestata ad allenare le due gare con il massimo scrupolo. I ragazzi, per l'applicazione che hanno garantito hanno meritato fino in fondo i risultati che hanno ottenuto. La semifinale del misto e le due partite del doppio, sempre contro i thailandesi, oltre a quella delle ragazze contro le tedesche sono state complicatissime ed esserne venuti fuori così bene è stato un grande merito. Passando alle altre medaglie dei singolari partirei da Andrea Borgato».

Prego

«Andrea alle Paralimpiadi di Tokyo è andato vicino alla conquista del bronzo. Nei quarti ha affrontato l'inglese Thomas Matthews, in un match alla sua portata e non ce l'ha fatta. Qualcun altro, alla sua età e dopo la sua carriera, si sarebbe abbattuto, lui invece il giorno stesso della sconfitta mi ha detto che, in quell'anno con grandi sacrifici aveva trascorso sette giorni al mese al Centro Tecnico e nel successivo ne avrebbe voluti fare quindici Ha dunque raddoppiato il suo impegno. Via via ha sempre giocato meglio e ai Mondiali ha prevalso al primo turno sulla testa di serie coreana Park Sung Joo. Ha raggiunto la semifinale in una gara difficilissima ed è tornato sul podio otto anni dopo la prima volta. Si merita dei grandissimi applausi».

Hai lasciato per ultimo Matteo Parenzan?

«Sì, perché il suo capitolo merita un ritorno agli inizi. Con lui ci siamo visti per la prima volta dieci anni fa, quando, andando a seguire Giada nel primo allenamento del progetto Tokyo, Ettore Malorgio mi ha segnalato un bambino che aveva iniziato a frequentare la palestra dello Sportni Krozek Kras e che, secondo lui, era bravo. Fidandomi ciecamente delle qualità di Ettore, che oltre a essere un grande giocatore era stato nello staff della Nazionale con Donato Gallo, ho spostato l'allenamento di Giada a Sgonico, con l'obiettivo di vedere Matteo e di conoscere i suoi genitori. Da lì è iniziato un grandissimo percorso, fatto di scelte che lo hanno gradualmente messo al centro delle progettualità federali, tenendo però fortemente conto delle condizioni nelle quale si allena».

In che senso?

«Il Kras, e approfitto per ringraziarlo anche a nome della Federazione, è una delle società meglio organizzate del nostro panorama nazionale, con ua dirigenza attenta alle necessità del tennistavolo paralimpico, uno staff tecnico di prim'ordine e degli sparring, che in questi anni si sono altrernati con Matteo, seguendo il suo percorso tecnico. Non aveva alcun senso sradicare il ragazzo dalla sua realtà. È sempre stato convocato alle manifestazioni agonistiche e le sue frequenti visite al Centro di Lignano ci hanno consentito di fare periodicamente il punto della situazione e di concordare con i suoi allenatori i sucessivi passaggi».

Un titolo mondiale a 19 non è quasi un record?

«Nello sport paralimpico, in effetti, la maturazione avviene in età più adulta, perché la consapevolezza dei propri mezzi vale molto di più della freschezza atletica. In tribuna stentavo a credere che alla sua età fosse in grado di gestire la finale come ha fatto. La sua performance sportiva è stata inimmaginabile. A un certo momento del match, dopo aver perso il primo set e sul 4-9 del secondo, pareva proprio che non ci fossero chance e Matteo è stato fantastico a trovare in corsa, assistito da Massimo in panchina,  le contromisure per ribaltare la situazione, pensando più alla tecnica che alla tattica».

Che dire dei due quartisti che non hanno centrato l'accesso alla semifinale?

«Carlotta Ragazzini e Federico Falco sono comunque arrivati fra i primi otto al mondo e riuscirci per due giovani come loro è stato un grande traguardo. Carlotta  non aveva ancora disputato Paralimpiadi o Mondiali e aveva partecipato solo a un Europeo in classe 4. In classe 3 era all'esordio in una grande manifestazione e nei quarti non ha sfigurato contro la coreana Yoon Jiyu, che poi avrebbe vinto il titolo e che oggettivamente è un gradino sopra le altre. La sua stagione complessiva è stata fantastica e le è valsa qualcosa come 50 vittorie, a fronte di sole 3 sconfitte. Siamo molto fiduciosi per il suo futuro. Federico avrebbe potuto vincere la medaglia. Al primo turno ha eliminato per 11-9 alla "bella"  l'ungherese Endre Major, che è atleta di valore assoluto e precedentemente aveva battuto in carriera soltanto una volta. Nei quarti ha perso per 11-9 al quinto set contro un campione del calibro del britannico Robert Davies, che si è aggiudicato Paralimpiadi e Mondiali. Certamente non si abbatterà e con lui stiamo già programmando il futuro. Dopo Granada il suo ranking migliorerà e si posizionerà fra il 4° e il 5° posto, una grande notizia».