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L’entrata delle società di tennis tavolo affiliate al Comitato Italiano Paralimpico nella Federazione Italiana Tennistavolo, a partire dal 1° ottobre 2009, ha rappresentato per il movimento pongistico un evento epocale. Grande la soddisfazione di Renato Di Napoli, vicepresidente vicario della Fitet, che da moltissimi anni si dedica con passione all’attività degli atleti diversamente abili.
Di Napoli, che ricordi ha di quegli inizi?
«Per ripercorrere quei momenti, devo tornare indietro nel tempo di quasi vent’anni, quando mi occupavo del Dopolavoro Poste, la società che avevo fondato con alcuni amici appassionati del nostro sport. Allora già si allenava con noi Patrizia Saccà, una delle atlete più titolate del tennis tavolo italiano. Sembra ieri che la sollevavamo con la sua carrozzina e la portavamo giù per le scale, fino a raggiungere un corridoio che fungeva da palestra. Le mettevamo a disposizione un tecnico, che le consentisse di prepararsi in modo adeguato. C’erano molto impegno ed entusiasmo da parte di tutti, ma l’organizzazione era ancora piuttosto improvvisata».
C’era insomma ancora molto da fare?
«Sicuramente c’era e molto è stato fatto in questi anni. Oggi esistono più club strutturati, che hanno gruppi numerosi di atleti che si allenano quotidianamente per svolgere l’attività agonistica. Ci sono persone preparate che seguono quotidianamente uomini e donne diversamente abili con dei metodi di allenamento specifici, che variano a seconda del grado di disabilità. La professionalità è elevatissima e nulla è lasciato al caso».
È anche cresciuta la considerazione che viene riservata agli atleti paralimpici?
«Quando penso a come siano cambiati i tempi e a quali passi da gigante si siano fatti, mi torna sempre in mente l’episodio che coinvolse proprio la Saccà. Un arbitro le impedì di disputare un match  contro una collega normodotata. Oggi ragionamenti del genere sono improponibili, tanto è vero che due anni fa la veronese Michela Brunelli si aggiudicò il titolo italiano di singolare di quarta categoria e in coppia con Valeria Zorzetto, pure lei in carrozzina, conquistò anche il tricolore del doppio».
Cosa ha significato per lei lavorare con gli atleti paralimpici?
«Mi ha fatto crescere come persona e come dirigente sportivo. Mi ha trasmesso l’entusiasmo di impegnarmi, al massimo delle mie capacità, per il raggiungimento di un obiettivo. Questi atleti non sono solo dei campioni sportivi, ma degli esempi di vita. Da loro ho veramente imparato molto e il processo di apprendimento non è ancora terminato. Ho vissuto di persona l’organizzazione di due Campionati Italiani Assoluti Disabili e di un torneo internazionale nel quale abbiamo ospitato persone provenienti da tutto il mondo. C’erano anche dei medagliati olimpici. In tutti i casi si è trattato di esperienze molto interessanti».
Cosa significa per la Federazione Italiana Tennistavolo l’aver accolto al suo interno il movimento paralimpico?
«Per noi si tratta di un privilegio assoluto, perché i nostri atleti in carrozzina e in piedi girano il mondo e in ogni occasione mietono messi di medaglie. Sono dei veri e propri ambasciatori del nostro Paese e con i loro risultati ci rendono orgogliosi di essere italiani. Oltre a ciò, sono veramente contento che la nostra disciplina sia stata una delle prime, con il ciclismo, gli sport equestri e il canottaggio, a recepire la richiesta di inglobare l’attività paralimpica all’interno delle singole federazioni nazionali. Il protocollo, che è stato firmato dal nostro presidente Franco Sciannimanico e dal numero uno del Comitato Italiano Paralimpico Luca Pancalli, ha formalizzato questa intesa e mi ha riempito di felicità. Questo, però, è soltanto l’inizio».
Cosa vi riserva il futuro?
«Ci attende un’avventura stimolante, che non potrà prescindere dallo studio e della messa in atto di un progetto di promozione, sempre più capillare, del tennis tavolo nelle scuole. Ci sono giovani che non riescono a condividere con altri la propria disabilità e preferiscono chiudersi in casa piuttosto di dedicare il loro tempo a una pratica sportiva. Vogliamo avvicinarli e dimostrare loro che lo sport può essere uno splendido strumento per stare in mezzo ai propri coetanei e per divertirsi».
Cosa farete preliminarmente?
«Entro la fine di novembre, ci riuniremo a Pordenone con i vari Comitati della Fitet e del Cip. Sarà un modo per confrontarci e per definire le tappe del nostro piano d’azione».

Roberto Levi