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La vittoria ottenuta nel singolare di classe 6 nella quarta edizione del Romania Open, che si è disputata a Cluj-Napoca, lo ha fatto salire alla ribalta internazionale. Non che il 27enne catanese Raimondo Alecci fosse uno sconosciuto, dal momento che si è qualificato per i prossimi Mondiali, ma quel risultato gli ha fatto fare un salto di qualità nella considerazione del mondo pongistico.
Raimondo, ripercorriamo insieme questa esperienza indimenticabile?
«L’obiettivo era di ottenere più punti possibili, perché si trattava del mio ultimo torneo prima dei Mondiali. Contavo di vincere il girone e poi di giocarmela ad armi pari contro qualsiasi avversario. Al primo turno del tabellone a eliminazione diretta speravo di non trovare un rivale che avesse i puntini e invece puntualmente mi è capitato l’austriaco Robert Huber. Pensavo che non ci fossero speranze, anche perché il bilancio dei precedenti era di 3-1 a suo favore, e invece mi sono imposto per 3-1. In semifinale ho affrontato il tedesco Thomas Rau, il n. 9 del ranking mondiale. Lo avevo sempre battuto e dentro di me mi sono detto che se non avessi vinto le finali avrei potuto dimenticarmele. È andato tutto bene e ho avuto la meglio per 3-0».
Era dunque in finale, la prima internazionale della sua carriera.
«Una grande impresa comunque ed ero convinto che oltre non sarei andato. Avevo di fronte il russo Alexander Esaulov, che oggi è il 7° giocatore al mondo, ma è stato anche numero 1. Oltre a ciò varie Federazioni hanno fatto reclamo per il suo passaggio in classe 7, perchè ha soltanto qualche problema di equilibrio, ma nulla di grave alle gambe o alle braccia. Comunque sia ho vinto il primo set per 11-9 ed ero già contento così. Il secondo se lo è aggiudicato lui per 11-8 e nel terzo sono tornato in vantaggio per 11-6. Il quarto è stato equilibrato e ho fallito un match-point sul 10-9, per perdere poi per 12-10».
Alla bella eravate alla resa dei conti.
«Il ct Alessandro Arcigli mi ha detto che a quel punto avrei dovuto vincere. Avevo male al gomito e sul 10-7 soffrivo molto. Arcigli mi ha chiamato time-out e mi ha suggerito di non pensare al dolore. Ho conquistato il punto dell’11-8 su battuta ed è stato un momento bellissimo. Per l’entusiasmo alla fine ho quasi sospinto a terra Alessandro. Nessuno credeva che ce l’avessi fatta e tutti i tecnici delle altre nazioni sono venuti da me per congratularsi. Si è trattato del secondo giorno più bello della mia carriera».
Non del più bello in assoluto?
«No, quello fu quando nel 2009 ottenni il terzo posto in singolare a Brasilia. Fu il risultato che mi qualificò per i Mondiali di Corea del prossimo ottobre. Disputai un torneo straordinario e al termine della finale per il bronzo, contro il francese Bastien Grundeler, che finì 3-1 per me, mi gettai letteralmente sulla carrozzina di Federica Cudia, che era stata in panchina e mi aveva portato fortuna. Siamo molto amici con Fede, che è siciliana come me, e quella volta festeggiai con lei».
La sua è una storia sportiva particolare, perché iniziò a praticare il tennis tavolo in carrozzina. Ce la racconta?
«Avevo 9 anni e i miei genitori mi indirizzarono all’Iride Catania. Lì mi fecero provare il tennis tavolo e mi piacque. Intorno agli 11-12 anni giocai anche a calcio a 5. Facevo il portiere e vincemmo anche qualche campionato estivo. Era un ruolo adatto alla mie caratteristiche. Non per nulla la moglie del tecnico azzurro Donato Gallo mi ha soprannominato “il grillo”, perché salto da una parte all’altra».
Torniamo all’Iride?
«Feci tre stagioni con loro e poi abbandonai tutto per dieci anni, per concentrarmi sullo studio. Mi diplomai perito tecnico industriale e poi tornai all’Iride per due stagioni, prima di trasferirmi al www.tennistavolo.it del presidente Fabio Bellassai, con cui feci anche attività per normodotati. Vincemmo un campionato di D1 e ne disputammo altri due di C2. L’ultimo passaggio mi portò alla Genesi Catania, la mia attuale società. Quest’anno abbiamo sfiorato l’accesso ai concentramenti per salire in C1. Personalmente da non classificato sono diventato quarta categoria. In carrozzina invece ho vinto per due volte il titolo italiano giovanile».
Quando decise di cambiare classe, dalla 5 alla 6, e di giocare in piedi?
«Fu nel 2006, stavo partecipando a un torneo provinciale a Valverde, dove sono nato, e il presidente Paolo Puglisi mi chiese se avessi voglia di fare qualche palla in piedi. Provai con suo figlio Federico e mi trovai bene. Puglisi ne parlò con Arcigli, che alla fine si convinse. Facemmo la richiesta per la riclassificazione. All’inizio i risultati furono un disastro, ma io credevo nella mia scelta e mi divertivo. Sono campione italiano di classe 6 da quattro anni e nel 2010 a Giaveno ho anche ottenuto l’argento nel doppio con Paola Bevilacqua».
Quali differenze riscontra fra il gioco in carrozzina e quello in piedi?
«In carrozzina fai senza dubbio meno fatica. In piedi devi anticipare i colpi e girarti per fare il topspin. In classe 6 non ci si muove molto e gli atleti curano in particolare i colpi sporchi, le palle corte e laterali. Nella 5 il gioco è molto più aperto».
Cos’è cambiato nei suoi allenamenti?
«Io vivo con due stampelle e gioco con una. Carico molto con un braccio e devo essere pronto nei movimenti di gambe. Con i tecnici delle Fitet stiamo facendo dei lavori specifici in quest’ottica».
Il suo successo a Cluj-Napoca, modifica un po’ la sua prospettiva in vista dei Mondiali?
«Ora sono numero 15 e potrei guadagnare un altro paio di posti. Al di là della posizione, è chiaro che aver vinto in Romania aumenta le mie speranze di fare bene in Corea. Tocco ferro e rimango con i piedi per terra, ma chissà, il gradino più basso del podio potrebbe essere alla mia portata».
Con chi si allena?
«Tre volte alla settimana a Catania con il tecnico nigeriano Mabadula Joke e altre due vado a Riposto per partecipare a degli stage con Salvatore La Rosa, che mi è stato messo a disposizione dalla Federazione. Ci sono poi i collegiali che svolgiamo periodicamente a Lignano Sabbiadoro e che sono molto utili, perché prevedono giornate di preparazione molto intensa».
Cosa c’è nella sua vita oltre al tennis tavolo?
«Naturalmente il lavoro. Faccio l’operatore tecnico mobile a un call center dell’Almaviva e mi è stato consentito di sostenere i turni al mattino, così da potermi allenare tranquillamente al pomeriggio. Da due anni sono poi consigliere comunale a Valverde. L’amministrazione mi lascia autonomia sulle tematiche sportive e a me piace organizzare iniziative che contribuiscano a togliere i ragazzi dalla strada».
Cosa vede nel suo futuro?
«Quando lascerò l’agonismo mi piacerebbe aprire un centro di avviamento al tennis tavolo. Per ora penso a migliorarmi come atleta. La Genesi è una società che esiste da tre anni e fa molta attività giovanile. Anche con l’aiuto dei talenti che stanno crescendo al suo interno, spero di poter concretizzare il sogno di partecipare alle Paralimpiadi di Londra 2012».
Roberto Levi