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Essendo figlio di papà Ivan, che ha partecipato a 11 Europei e 9 Mondiali ed è considerato il miglior pongista di sempre in Bulgaria, e di mamma Valia, anche lei campionessa e nazionale del suo Paese, avrebbe potuto scegliere uno sport diverso dal tennis tavolo? Certamente no e infatti Niagol Stoyanov ha intrapreso questa strada e la sta percorrendo sostenuto da una grande passione. Nel 2008 è stato campione tricolore di doppio misto Assoluto con Nicoletta Stefanova e nel 2009 si è ripetuto nel doppio maschile con Daniele Sabatino, piazzandosi secondo nel singolare, battuto da Mihai Bobocica. Dal novembre 2007 è il numero uno della classifica italiana. Stoyanov è nato a Sofia il 31 maggio del 1987 e dopo pochi mesi era già in Italia. «Siamo venuti in Sicilia, perché papà e lo zio Stefan giocavano a Ragusa. Ci sono dei filmati che mi ritraggono con la racchetta in mano già in tenerissima età. Si può dire che abbia respirato tennis tavolo da sempre, anche se ho iniziato a praticarlo più seriamente intorno ai sei anni».
A 12 anni era già in Nazionale Giovanile. Quali sono i ricordi di quel periodo?
«Partecipai a sette Campionati Europei Giovanili dal 1999 al 2005 e nel 2004 a Budapest vinsi il bronzo nel doppio, in coppia con Mihai Bobocica. Fu l’ultima medaglia conquistata dall’Italia in quella manifestazione. Nel dicembre dello stesso anno mi aggiudicai l’Open del Portogallo junior e ad aprile 2005 l’Open d’Austria. Il risultato più importante fu però il quarto posto di gennaio al Top 12 continentale di Molfetta. Ai primi due posti si classificarono i tedeschi Ovtcharov e Baum (attuali n. 14 e 30 al mondo, ndr) e terzo fu un cinese naturalizzato».
Nonostante tutti questi impegni, non allentò mai la sua attenzione verso la scuola.
«Non dedicai mai tutta la mia vita al tennis tavolo e durante il periodo dell’attività giovanile frequentai il Liceo Scientifico a Livorno. Al termine decisi di non fare il giocatore professionista e di iscrivermi alla facoltà di Ingegneria Energetica a Pisa. Il primo anno frequentai i corsi e riuscii a superare cinque esami. Pagai un po’ sul fronte pongistico e a Este giocai piuttosto male. L’anno successivo a Catania andò meglio e la scorsa stagione a Milano fu ancora più positiva. Nel frattempo però riuscii a passare solo un altro esame».
Quest’anno ha deciso di darsi totalmente al tennis tavolo?
«Partiamo con il dire che la vita universitaria mi piace molto. È veramente bello stare in mezzo a tanti giovani che arrivano da città diverse e sentire in tutti la grande curiosità di capire cosa ci riserverà l’avvenire. Si tratta di compagnie molto stimolanti. Anche le feste sono molto divertenti. Oltre a ciò, ho scelto una facoltà di attualità. Le fonti di energia rinnovabili rappresentano già il presente e ancora di più il futuro».
Detto questo, però?
«Se potessi mi dedicherei anima e corpo all’università e al tennis tavolo, ma è impossibile, frequentare, viaggiare e allenarsi L’anno scorso a Milano ho avuto la conferma che posso dare tanto a questo sport. Mi impegnai e vidi subito i risultati. Sentirsi competitivo è una sensazione meravigliosa. A marzo fui convocato per un match contro la Spagna di Lega Europea e ottenni due punti contro Duran e soprattutto Machado, propiziando il 3-1 finale. A maggio, nelle semifinali dei playoff  sconfissi per due volte Vyborny. Sono vittorie che trasmettono molta fiducia».
A settembre è tornato in azzurro a tre anni dai Mondiali a squadre di Brema.
«Allora era la mia prima manifestazione internazionale assoluta ed ero il quinto del team. Titolari erano Yang Min, Bobocica e Massimiliano Mondello. Io ero riserva con Valentino Piacentini. Ricordo comunque con piacere i match contro Taipei e Serbia in cui feci un punto».
Agli Europei  di Stoccarda, invece, è stato protagonista. Come si è sentito?
«Penso di avere disputato alcune belle partite. Nel girone di qualificazione ho ceduto per 3-2 al greco Papageorgiu. Poi nei quarti del tabellone a eliminazione diretta ho battuto per 3-0 lo slovacco Pistay e in semifinale ho superato per 3-1 il portoghese Joao Monteiro. Peccato che nel singolare decisivo, sul 2-2 con il Portogallo, abbia ceduto ad Apollonia per 3-0, dopo essere stato avanti per 5-2 nel primo set e per 7-2 nel secondo. Il terzo è poi finito 13-11. Nella finale per il terzo e quarto posto, decisiva per salire in Championships Division, l’inglese Drinkhall mi ha sconfitto per 11-9 al quinto. Un po’ tutti ci siamo sentiti responsabili per non aver raggiunto l’obiettivo della promozione. L’esperienza dal punto di vista personale è stata comunque positiva perché, anche quando ho perso, ho lottato alla pari con atleti molto forti».
Ci racconta un po’ più nel dettaglio il salto di qualità della stagione passata a Milano?
«Societariamente l’avventura è finita male, ma tecnicamente ho potuto contare su una grande squadra. Con gente come Ma Wenge, Tokic e Tosic, gli allenamenti erano molto proficui, perché la pallina rimaneva sul tavolo più a lungo. Con Patrizio Deniso e Antonio Gigliotti ho fatto molto più cesto ed era un aspetto cui non ero abituato. Il ritmo dei miei colpi è salito e ho acquisito degli automatismi. Riuscire a giocare dei colpi inconsciamente è un grande vantaggio dal punto di vista mentale».
In cosa pensa di poter migliorare?
«Atleticamente sono certamente insufficiente e mi rendo conto che gli altri sono più veloci di me. In questo campo i margini di progresso sono notevoli».
E a livello di colpi?
«Mi ritengo un giocatore completo. So studiare l’avversario e se ha un difetto riesco ad approfittarne. Sono bravo anche a livello tattico e riesco a giocare bene i punti decisivi. Non ho paura di rischiare anche sul 9-9. Magari poi sbaglio il colpo, ma intanto lo tiro senza farmi condizionare».
Come sta vivendo questa nuova esperienza al Cus Torino?
«Sento che è l’anno fondamentale della mia carriera. Siamo una squadra giovane e unita e l’ambiente che ci circonda è molto positivo. Il presidente del Cus Riccardo D’Elicio e il coordinatore della sezione e team manager Adriano Muzio ci sostengono pienamente e sono contento di continuare a lavorare con Patrizio Deniso. Possiamo ancora fare tutto, perché ci stiamo comportando bene in campionato e nella Ettu Cup abbiamo superato due turni. Ho 22 anni e davanti a me molte possibilità di migliorare. Sta a me, con l’aiuto del Cus Torino e della Federazione. Posso fare grandi cose».
Vi giocherete il titolo con il Castel Goffredo?
«È il nostro obiettivo. Loro per il momento sono più avanti, perché hanno fatto il nostro stesso lavoro con un anno di anticipo. Li stiamo rincorrendo e speriamo di riuscire a giocarcela alla pari nei playoff».
Che posizione pensa di meritare nel ranking mondiale?
«Attualmente sono molto indietro, ma il n. 297 non rappresenta il mio standard. Posso valere un posto fra l’80°  e il 180°. Non ho fretta e ho molto tempo di fronte a me».
Per riuscire a conciliare meglio il tennis tavolo con lo studio, pensa di iscriversi in futuro al Politecnico di Torino?
«È un’idea che potrebbe concretizzarsi. Una scelta che non mi sono sentito di fare quest’anno, perchè mi sarebbe sembrato di separarmi dalla mia famiglia, che vive a Livorno e alla quale sono molto affezionato».
Papà Ivan la consiglia sempre?
«Mi sento spesso con lui e mi dà dei suggerimenti soprattutto a livello comportamentale e di atteggiamento da tenere prima della partita. Il modo in cui mi dice certe cose, che è lo stesso da tanti anni, mi trasmette delle certezze».
Oltre al tennis tavolo le piacciono altri sport?
«Da bambino giocavo al calcio e ora mi diverto con il calcetto, tra amici. Seguo in televisione la Juventus in Champions League e talvolta dal vivo il Livorno in campionato, per il piacere di stare in compagnia».
A proposito di amici, ne ha di importanti tra gli sportivi?
«Sono molto  legato al fiorettista Andrea Baldini. Quando sono a Livorno ci vediamo sempre e il nostro è un rapporto molto intenso. Prima delle Olimpiadi di Pechino una carognata lo ha escluso dalla squadra azzurra. Gli hanno tolto tutto e avrebbe potuto impazzire. Invece si è ripreso e nel 2009 ha vinto l’oro individuale e a squadre agli Europei e ai Mondiali. Ha dimostrato di essere il migliore. È veramente un grande».

di Roberto Levi