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Un momento della conferenza stampaIl presidente federale Renato Di Napoli sulla sua pagina Facebook ha pubblicato una riflessione sul concetto d’inclusività. La condividiamo anche in questa sede.

“Inclusività. Durante la conferenza stampa con cui abbiamo presentato i Campionati Europei Veterani di Rimini, è stata questa la parola che ho sentito più spesso. L’hanno pronunciata il Presidente del Coni Malagò, quello del Cip Pancalli, il presidente di ETTU Moura, i rappresentanti degli Enti locali dell’Emilia Romagna, che sostengono l’evento, e naturalmente gli esponenti del Governo, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a Sport e Salute.

E questo sostantivo non era usato solo per sottolineare la novità di questi Europei Veterani, circa la partecipazione di atleti disabili, che noi italiani, primi in Europa, abbiamo introdotto. No, “inclusività” era il termine con cui tutti hanno descritto il nostro amato tennistavolo, una caratteristica intrinseca, scritta nel codice genetico del nostro sport, con cui non solo gli addetti ai lavori ma anche l’immaginario collettivo etichetta il “ping pong”. È adatta a tutte le età, ad amatori e praticanti di alto livello, abili e diversamente abili, senza distinzione di genere, classe sociale, facile da praticare, anche su tavoli “di fortuna”.

Ebbene, amici, da un giorno intero questa parola, “inclusività”, mi ronza nell’orecchio e nel cervello, mi suscita riflessioni che voglio condividere con tutti voi. E voglio farlo proprio nei giorni in cui a Riccione si sta svolgendo la manifestazione più inclusiva a livello nazionale: i Campionati Italiani di Categoria. Una gara che vede impegnati adulti e bambini, uomini, donne, normodotati e diversamente abili, “delimitata” soltanto dal livello di gioco, le “categorie” appunto, che più che una barriera rappresentano invece un “sussidio di inclusività”, che permette a tante più persone di lottare per un titolo o un piazzamento, o comunque di vivere una esperienza sportiva appagante.

Penso che noi sportivi, noi appassionati del tennistavolo e ancor più la classe dirigente di questo sport, dai livelli federali a quelli delle tante società sul territorio, non dobbiamo crogiolarci in una definizione enciclopedica del termine “inclusività”. Non dobbiamo accontentarci di pensare: “Il tennistavolo è inclusivo, bene, siamo a cavallo!”

Dobbiamo viceversa coltivare questa attitudine: dobbiamo sforzarci di rendere ancora più inclusivo uno sport che lo è di per sé. Allo stesso modo in cui il giocatore forte di dritto si allena per migliorarlo ancora.

Dobbiamo fermarci a riflettere sulle volte in cui il nostro comportamento di appassionati, anziché essere inclusivo è escludente. Vorrei che ciascuno, giocatore o dirigente, pensasse a come essere più inclusivo: inclusivo con i compagni di club, inclusivo con chi è più debole pongisticamente, inclusivo con chi non pratica il tennistavolo ma lo proverebbe volentieri se non trovasse barriere che a volte siamo noi stessi ad ergere, come se fossimo proprietari e custodi del tennistavolo, sacerdoti di un’ortodossia tecnica, guardiani e memoria storica, persino “casta” talvolta.

Ebbene io sto riflettendo su cosa significhi davvero inclusività. Devo farlo perché è uno dei mestieri del Presidente federale. Vorrei che lo facessero anche tutti i miei amici che amano il tennistavolo”.