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Podio a squadre Us Open 2016Il 25enne altoatesino Samuel De Chiara è stato autore la scorsa settimana, al torneo di Las Vegas, al quale ha partecipato a proprie spese, di una doppia impresa, conquistando la medaglia d'argento nel singolare di classe 8, battendo in semifinale il fenomeno svedese Emil Andersson, e nella gara a squadre. Appena rientrato dagli States, non potevano proprio non intervistarlo, per fargli raccontare le emozioni delle sue giornate a stelle e strisce.

Samuel, perché proprio lo US Open?

«Sono andato con mio papà Claudio con l'idea di non effettuare solo una trasferta agonistica. I tornei internazionali mi piacciono molto e abbiamo visto che c'era questo evento negli Stati Uniti, dove non ero mai andato. Abbiamo ritenuto che potesse essere una buona idea per fare anche una breve vacanza. Quando eravamo ancora in Italia avevo visto sulla players list che si erano iscritti atleti forti, però ho pensato che nella vita non si sa mai. In effetti poi è andata abbastanza bene».

Alla grande direi. Partiamo dall'inizio?

«Siamo arrivati con un paio di giorni d'anticipo, per abituarci alle nove ore di differenza di fuso orario, e alla fine ci siamo fermati ancora un giorno. Ne abbiamo dunque approfittato per girare e vedere il più possibile. Mi ero documentato su quali fossero gli obiettivi più interessanti e abbiamo scattato un sacco di foto. La città mi è piaciuta e ho potuto godermi dal vivo scenari che finora avevo visto solo in televisione».

Tornando al tennistavolo, non eri molto ottimista?

«Sinceramente no, dopo aver visto che avrebbero partecipato anche gli svedesi Emil Andersson e Linus Karlsson, vicecampioni paralimpici di Rio a squadre. Mi ha comunque tirato su il morale il messaggino che ho ricevuto dall'inglesino Billy Shilton, che avevo conosciuto in altre manifestazioni e mi ha chiesto di disputare la competizione a squadre con lui».

Veniamo al singolare?

«Nel girone l'americano Owais non si è presentato e contro il canadese Kent, che pure era stato campione panamericano qualche anno fa, ho vinto nettamente. In tabellone negli ottavi ho affrontato il norvegese Salomonsen, che nel girone aveva impegnato Andersson, ma contro di me ha sofferto molto la puntinata lunga. Nei quarti ho incrociato il mio compagno di squadra Shilton. Non lo avevo mai incontrato, perché fino agli Europei dello scorso anno era in classe 7. In classifica è piazzato meglio di me e dunque le incognite non mancavano. L'ho battuto in tre set equilibrati».

Cosa hai pensato quando hai saputo che in semifinale avresti trovato Andersson, medagliato ovunque?

«Ci eravamo già incontrati nel 2015 agli Europei e nel girone mi aveva superato per 3-0 molto facilmente. Sapevo che sarebbe stato difficilissimo, ma i componenti del gruppo che abbiamo su Whatsapp mi hanno incoraggiato e li ho sentiti vicini anche in campo. Ho giocato una delle partite più belle della mia vita, dando il massimo e sbagliando poco. Ho ceduto il primo set a 7 e tutto sembrava andare secondo pronostico. Nel secondo ho capito che non avevo più nulla da perdere e che avrei dovuto dare il 120%. Siamo andati ai vantaggi e sul 14 pari non ce la facevo più e ho chiamato time-out. Al rientro sono riuscito a mettere segno gli ultimi due punti».

Come ha reagito Andersson?

«È rimasto un po' scioccato e il suo rendimento è calato. Nel quarto set è andato definitivamente in crisi e si anche arrabbiato per il risultato».

In finale eri appagato o avevi ancora voglia di cercare un'altra impresa?

«Ero molto carico e concentrato e volevo provare a tutti i costi a prendermi l'oro. Karlsson, però, a differenza di Andersson, ha giocato molto più con la testa e molto più negli angoli, sfruttando la mia disabilità al 100%. Ho fatto ciò potevo ed è andata com'è andata. Sono comunque strafelice per il risultato ottenuto».

Cosa ti aspettavi dalla gara a squadre?

«Con Shilton eravamo la testa di serie numero 2 e dunque avevano delle buone chance di procedere nel torneo. Billy, siccome in singolare aveva perso qualche punto, mi ha chiesto di fare il primo singolare a squadre per recuperarli e ho accettato. Nel girone ci siamo imposti chiaramente contro avversari inferiori a noi. In doppio all'inizio, non avendo mai giocato insieme, avevamo qualche problema, essendo anche entrambi mancini. In tabellone siamo migliorati sotto questo aspetto. In semifinale avevamo di fronte gli olandesi e in doppio abbiamo cercato di evitare Van Amerongen, l'atleta più forte, e di concentrarci sul suo compagno Wassink».

In finale l'ostacolo era improbo

«I vicecampioni di Rio Andersson e Karlsson si sono confermati fortissimi. In doppio si vedeva che erano più affiatati di noi e parevano quasi una sola persona. Ci siamo comunque difesi bene, combattendo in tutti i set. È stata una piacevole sorpresa. Poi Karlsson si è imposto anche nel singolare su Shilton ed è finita come doveva andare».

L'argento in singolare è stata la medaglia più importante conquistata nella tua carriera?

«La più importante è stata quella d'oro ottenuta in singolare l'anno scorso in Cile. In termini di qualità, però, questa è stata più significativa. Ho fatto dei calcoli e, se non mi sono sbagliato, nelle prossime classifiche salirò di quattro posti, dal 26° al 22°. Se fosse così sarebbe pazzesco. Nel 2018 ci saranno i Mondiali, ai quali parteciperanno i primi 18 della mia classe, e mi mancherebbero dunque quattro posizioni per qualificarmi».

Quanto è aumentata la fiducia in te stesso dopo questo torneo?

«Moltissimo. Ho avuto anche la conferma che gli allenamenti che ho intensificato da settembre siano stati molto utili. Prima mi allenavo tre volte a Merano, dove vivo, mentre da inizio stagione ho avuto la possibilità di fare, grazie all'Eppan, sia ad Appiano sia a Bolzano, quattro o cinque sedute. Sono migliorato e fra i normodotati, fra campionato di C2 con lo Sportclub Merano e tornei nazionali, ho perso solo tre partite».

Samuel siamo quasi alla fine, ringraziamenti da fare?

«Se sto ottenendo questi risultati lo devo alla famiglia: mio papà Claudio, mia mamma Irene, mia sorella Melanie e mio fratello Daniel sono i miei primi tifosi. Naturalmente lo devo anche a tutto il team paralimpico e, in modo particolare, al direttore tecnico Alessandro Arcigli e al tecnico Donato Gallo. Anche se erano lontani, a Las Vegas mi hanno sostenuto, scrivendomi ogni giorno. Grazie anche all'Eppan e al Merano, le società che mi permettono di allenarmi e di giocare. Sono grato a tutti».

Samuel De Chiara a Las Vegas