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Come si fa a conquistare una medaglia d'oro, una d'argento e due di bronzo ai Campionati Italiani Paralimpici senza aver praticamente impugnato una racchetta da circa sei mesi? Ne sa qualcosa il 37enne azzurro Daniel Paone (nella foto di Domenico Vallorini), che a Lignano Sabbiadoro ha vinto il singolare di classe 3, si è piazzato secondo con Marco Santinelli nel doppio di classe 1-5, e terzo con Marisa Nardelli nel misto e con lei e Simone Larucci nella gara a squadre di serie A1.

Allora Daniel, cosa ti ha tenuto lontano dal tennistavolo?

«Con la mia compagna Alessia abbiamo avuto un bimbo, di nome Martin, il 1° dicembre e dunque la preparazione estiva è stata un po' condizionata, perché gli ultimi mesi di gravidanza erano i più complicati. Ho disputato gli Europei a ottobre, ma si è trattato di poche partite. Mi sono allenato un po' soltanto nell'ultimo mese prima dei tricolori. Mi sono trasferito da poco in Calabria da Firenze e il mio tecnico è venuto qui da me un paio di weekend per aiutarmi. Il resto l'ho fatto con i ragazzi del Tt Catanzaro, che partecipano alla B2. Nulla a che vedere comunque con le quattro sedute a settimane di tre ore che facevo fino all'anno scorso».

Quindi i risultati ottenuti a Lignano sono stati una sorpresa anche per te?

«In effetti non me li aspettavo, nonostante in singolare partissi come testa di serie numero 1. Il primo giorno, nella gara a squadre, ho perso contro un classe 2 e contro un altro atleta che era dietro di me in classifica. Ero un po' arrugginito e le mie quotazioni sono scese clamorosamente in vista dei giorni successivi. Invece ho iniziato a riprendere un po' confidenza con i colpi e a tornare almeno mentalmente in partita e ho inanellato una serie di vittorie importanti, per poi arrivare alla semifinale e alla finale del singolare, in cui ho affrontato quelli che erano i favoriti. Ho fatto bene anche in doppio e nel misto».

Matteo Orsi ti ha costretto a una maratona, vero?

«È stato molto bello, perché non avevo mai giocato contro di lui. Ci eravamo incrociati a uno stage in preparazione agli Europei, quando non era ancora nel giro della Nazionale. Poi ho seguito i suoi risultati agli Europei giovanili e al recente torneo di Roma. Il prossimo anno con lui ci saranno poche chance per tutti. Questa volta, però, confidavo che con un po' di esperienza e con i servizi, che sono il mio punto di forza, lo avrei messo in difficoltà ed è andata più o meno così».

In finale hai trovato il tuo amico Santinelli. Una storia infinita?

«È una sfida che si ripete quasi sempre e le possibilità sono del 50% a testa. È andata bene a me. Marco è il mio compagno di stanza in azzurro e un carissimo amico. Siamo gli unici che, quando arriviamo in camera, chiudiamo con il tennistavolo e parliamo solo di altro».

Nella tua vita finora hai girato molto.

«Sono nato a Roma, ma ho vissuto in Calabria fino a 18 anni, quando sono tornato nella capitale per frequentare l'Università. Nel 2000 ho avuto l'incidente e sono stato ricoverato a Reggio, per fare la riabilitazione a Montecatone. Poi mi sono spostato a Forlì e a Bologna, sono stato in giro un anno fra Parigi e Dublino, ho lavorato come giornalista a Maastricht e ho svolto il praticantato in una no profit che si occupa di tematiche relative all'Unione Europea. Sono stato lì per quasi cinque anni e poi sono andato a Firenze, dove speravo di allenarmi con maggiore continuità, perché dal 2006, quando ho iniziato a praticare il tennistavolo, al 2011 avevo fatto poco o nulla. Nel capoluogo toscano c'era Luigi Sciannameo, ex allenatore della Nazionale, che mi ha rimesso in carreggiata».

Ora dove vivete?

«A Maida, vicino a Lamezia Terme, e gestisco la rivista di cinema mediacritica.it. Continuo ad allenarmi con gli atleti del Tt Catanzaro. Nel breve periodo farò una o due sessioni alla settimana. Per la prossima stagione agonistica bisognerà valutare la situazione del momento, per capire quanto tempo potrò a dedicare a questo sport. Quando si è bene allenati e si riesce a mantenere degli standard quasi da professionista, si può andare all'estero e confrontarsi anche con i più forti. Mi è capitato di battere gente che sta nelle prime 10-15 posizioni al mondo, ma sempre in periodi in cui ero particolarmente in forma. Non ho mai improvvisato. Non voglio comunque smettere, perché è un hobby cui tengo molto».

Daniel Paone