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altButterfly ha celebrato l’anniversario dei dieci anni di lavoro con la Germania del coach Richard Prause  con una intervista durante la quale si racconta la storia di questo tecnico di successo.

Richard, come è cominciata la tua carriera nel tennistavolo?
“Sono arrivate al tennistavolo relativamente tardi, all’età di 12 anni.”
E prima di allora che sport avevi praticato?
“Mi ero impegnato nel judo. Ho anche avuto alcuni successi a livello regionale e conquistati anche alcune cinture. Ma alla fine lo trovai noioso perché c’erano poche competizioni. Fu allora che tornai al mio secondo sport favorito, il tennistavolo. Avevo un tavolo a casa e giocavo come hobby. Poi mi sonomiscritto al club del Niederboden e fui fortunato perché ho avuto un tecnico molto bravo che mi insegnò tutti i fondamentali del tennistavolo bene e velocemente. Non persi tempo.”
Questo significa che diventasti bravo velocemente?
“Si potrebbe dire così. A sedici anni fui scelto per partecipare al top training group junior dell’Assia. I responsabili Helmut Hampl e Juergen Lieder svilupparono il mio gioco brillantemente nei tre anni successivi. Durante la stagione 1987/1988 conquistammo la promozione con il FTG Frankfurt dalla seconda alla prima Bundesliga. Poi andai al TTC Grenzau in prima Bundesliga. Avevo 20 anni.”
Fu allora che decidesti di diventare professionista?
“Non fu facile.  Ho preso il mio livello A a 18 anni e poi ho frequentato il gruppo sportivo dell’esercito per due anni. Riflettevo molto sul fatto se mi piacesse studiare a quel tempo. Alla fine mi convinsi che lo sport era la mia strada e così decisi di giocarmi tutto in una sola carta: il tennistavolo e da allora non mi sono mai pentito di questa scelta. Nei due anni successivi ho cercato di entrare tra i migliori dieci tedeschi e nel 1992 feci il mio esordio nella nazionale tedesca. Nel 1994 ho giocato il mio primo Europeo a Stoccarda. Ho fatto parte della rosa della nazionale dal 1992 al 1998 e ho continuato a giocare in Bundesliga fino al 2000.”
Quando hai realizzato che volevi diventare un allenatore professionista?
“Ho cominciato a pensarci abbastanza presto. Già durante la stagione 1996/97 mi sono programmato il mio fine carriera. Alla fine della mia esperienza in nazionale ho preso il mio brevetto di allenatore A, la qualifica da tecnico più alta in Germania.”
Come hai fatto a cominciare ad allenare senza smettere di giocare il Bundesliga?
“Quello è stato un incidente. Nel 1999 Glenn Osth, l’allenatore svedese della nazionale tedesca si ritirò all’improvviso. Dirk Schimmelpfennig, capo allenatore della squadra nazionale maschile, mi chiamò e mi disse che aveva bisogno di un nuovo assistente. L’offerta mi piacque e chiesi al mio club (TTV Goennern a quel tempo) se fossero d’accordo per questo mio eventuale doppio impegno. Il club mi dette il nulla osta e così potei cominciare il mio lavoro con la federazione tedesca. Fu proprio prima dei Campionati Mondiali di Eindhoven che in pratica furono il mio esordio sulla panchina della nazionale.
Ed ora eccoti a festeggiare i tuoi dieci anni come tecnico. Congratulazioni!
“Già, quasi non ci posso credere. All’inizio sono stato assistente del coach per due anni. Dopo le olimpiadi di Sydney ho cominciato ad occuparmi della squadra femminile che ho seguito fino al 2004. E poi sono passato alla squadra maschile.”
Come coach tu ti avvali delle esperienze che hai avuto come giocatore. I tuoi allenatori hanno avuto una influenza speciale su di te?
“Si quelle esperienze sono state molto importanti. Ho già citato Juergen Lieder ed Helmut Hampl. Con il Grenzau fui poi fortunato a poter lavorare con Milan Stencel.”
Milan Stencel è considerato lo scopritore di Jean Michel Saive ed ha la reputazione di essre un vero duro. Cosa ha di speciale secondo te?
“E’ una persona vera. Lui investe una gran quantità di cuore nel tennistavolo e si arrabbia tantissimo quando  qualcuno non fa altrettanto. Con lui mi sono divertito tantissimo e da lui ho imparato molto. Nella mia esperienza lo ricordo come uno che tiene molto alla disciplina ma non per questo lo considero duro. La cosa che ripeteva a tutti era che per lui il tennistavolo era la sua vita a cui dava tutto il suo sangue vitale e avrebbe aiutato chiunque avesse investito la stessa quantità di sangue. Io mi sono trovato molto bene su questa lunghezza d’onda.”
Anche come giocatore sei ricordato come un combattente che metteva tutto il suo cuore nel match. Dai tutto fino alla fine anche se poi perdi. Questa attitudine la ritrovi anche nel tuo essere allenatore?
“Ovviamente questa attitudine aiuta. Di me stesso credo di poter dire di essere altrettanto autentico. Cerco di mettere il massimo della passione in questo sport e chiedo lo stesso ai miei giocatori. La direzione è quella giusta se anche loro sono pronti ad investire quanto ci metto io.”
La tua buona reputazione racconta non solo di un grande combattente ma anche di un grande lavoratore. Quando gli altri finivano tu continuavi sempre ancora un po’ ad allenarti. E’ la tua filosofia per ottenere successo?
“Senza dubbio durante gli allenamenti ho lavorato tanto con grande sforzo. Sforzarsi, lavorare con il massimo dell’impegno è una componente importante del talento. Non sono mai stato un giocatore che affrontava la pallina con superficialità, anche questo fa parte del talento di un giocatore. Lavoravo molto e sempre con obiettivi precisi, per raggiungere il giusto concetto di gioco che perseguivo. Sapevo come potevo giocare e quello che non potevo fare. Ho provato ad incrementare la mia forza. Guardando indietro posso dire che forse non ho raggiunto il massimo ma ci sono andato vicino. Forse se avessi cominciato a giocare un po’ prima sarebbe andata meglio.
Richarda, sei stato head coach della nazionale femminile per quattro anni. Cosa hai appreso da quella esperienza?
“Le donne sono molto più emozionabili degli uomini. Ma è stato per me un lavoro molto interessante. Gli uomini sono semplicemente più pronti ad andare un po’ oltre il proprio limite, quello che loro considerano il proprio limite. Quando avverto questa consapevolezza è facile per me guidarli, oltre che molto piacevole vista l’eccezionalità della generazione di talenti che ci ritroviamo nella squadra maschile. Ma ho imparato molto anche durante il mio periodo di lavoro con la squadra nazionale femminile. Lavorare con le donne, guidarle significa essere anche un po’ psicologo.”
Quando sei divento capo allenatore degli uomini nel 2004 hai ritrovato la top star Timo Boll. E’ stato un vantaggio il provenire dalla stessa regione e che avevate giocato insieme nella Bundesliga con il Goennern?
“Certamente è stato un grandissimo vantaggio. Timo sapeva perfettamente quale tennistavolo mi aspettassi da lui. Helmut Hampl mi aveva portato al Goennern proprio per avere un giocatore da proporre come esempio di impegno e voglia di allenarsi da proporre al giovane Boll e ricordo quante sedute in più ho fatto con lui. Timo a quel tempo era all’inizio della sua carriera ed io alla fine. Fu una bella esperienza assistere alla sua crescita. I due anni che abbiamo giocato insieme sono stati molto utili per me come allenatore, mi hanno permesso di sapere già come lavora e qual’è la sua visione del tennistavolo. Il mio rapporto con lui, coach-giocatore, negli anni è cresciuto costantemente ed io lo considero veramente ottimo.”
Se fai un confronto tra Timo nel 1999 e Timo nel 2009, quali sono le differenze?
“Secondo me è lo stesso Timo. E’ un ragazzo molto riflessivo e pondera sempre molto le decisioni che via via si trova a dover prendere. Sa esattamente cosa vuole. Ha un buon senso dell’humor. Ascolta con attenzione giudizi e commenti e questa è una cosa positiva nel suo carattere.”
Quali pensi possano essere le sue prospettive? Forse va protetto un po’ di più visto che a Yokohama ha dovuto rinunciare per infortunio?
“Avrà tante chances in futuro di vincere medaglie importanti ai Campionati del Mondo e alle Olimpiadi. Ne ha tutte le potenzialità.”
La Germania con Boll, Ovtcharov e Suess ha una squadra fortissima. A Pechino siete stati argento, sarà possibile anche fare meglio?
“Subito dopo Pechino ho detto che dobbiamo continuare ed avere fiducia in questa squadra, una delle più giovani ai Giochi cinesi. Possono solo migliorare ancora e questa è la nostra speranza. Dobbiamo utilizzare il loro grande potenziale come squadra fino al 2012. L’anno scorso abbiamo vinto molto ma non possiamo rilassarci su questi successi, altrimenti altre nazioni potrebbero approfittarne per superarci e dobbiamo evitarlo in tutti i modi.”
Sei allenatore da dieci anni. Di cosa ha bisogno un coach per essere di successo?
“Prima di tutto devi avere il massimo della motivazione. La tua passione deve essere così forte da consentirti di pensare al tennistavolo 24 ore su 24. Devi essere una persona comunicativa per poterti approcciare bene con i giocatori, parlare sempre molto con loro. E’ bene avere molta esperienza e l’aver giocato ad alto livello può senz’altro aiutare per comprendere meglio la pressione cui sono sottoposti i giocatori. Poi ce ne sono altri ma questi mi sembrano i fattori più importanti.”
Ti sei mai pentito della scelta di essere un allenatore professionista?
“Assolutamente no, era esattamente quello che volevo.”
Anche per i prossimi anni?
“Anche per i prossimi anni.”

(intervista realizzata dalla redazione di Butterfly. Traduzione di Corrado Attili)